Provare una barca appena varata è come assistere all’esordio di un giovane artista talentuoso, o come varcare la soglia di un ristorante appena aperto del cui chef si raccontano leggendarie capacità, con quel carico di curiosità, ma anche di emozione, che l’evento comporta. Nel nostro caso, non è solo il gommone in questione a esordire nel mercato nautico, ma è anche il cantiere stesso, quindi la curiosità è duplice, e si estende anche ai protagonisti di questo nuovo progetto imprenditoriale presentato ufficialmente nella primavera del 2025. Eccoci quindi a bordo del nuovo Breva 800, che abbiamo provato in una duplice versione: con un motore (Mercury V8 da 300 cv) e con due motori (Yamaha 4L da 200 cv)


Come è andata la prova di questo gommone di 8,57 metri ve lo dico fra pochissimo, ma per avere un quadro più chiaro e completo, e per collocare questo nuovo gommone nel suo contesto reale, è bene prima introdurre il cantiere.
Se guardiamo indietro nelle passate vicissitudini del mercato, che generalmente è piuttosto umorale, vediamo che la nautica, in particolare quella italiana, ci ha purtroppo abituati al precario calore di fuochi di paglia, a cantieri nati fra gli osanna e finiti nel silenzio di capannoni vuoti nell’arco di pochissimo tempo.

Naturalmente non sappiamo cosa riserverà il futuro a Breva Marine, che ha aperto quest'anno a Grezzago, in provincia di Milano, dove ha basato produzione e quartier generale, ma se guardiamo in proiezione emerge un'azienda che poggia la sua attività su basi decisamente promettenti.
Chi finanzia sono investitori molto solidi con un piano industriale ben chiaro e serio, che ha consentito a Breva Marine di iniziare la produzione in una struttura di 2500 metri quadri ed esordire con una gamma di quattro gommoni già ben definita, che va da 6 a 13 metri (più altri due tender), non soltanto sulla carta, ma già pronta a scendere in acqua con tutti i modelli fra la fine del 2025 e il corso del 2026.

Chi gestisce il cantiere, ovvero il management che ha avuto delega a sviluppare le attività e la crescita del cantiere, è in mano a un personaggio con trent'anni di esperienza, che è l'amministratore delegato Cinzia Grottoli, la quale nelle sue tre decadi di professione ha maturato una forte esperienza nel marketing in noti cantieri a diffusione internazionale, dove ha potuto anche completare la sua conoscenza su tutte le fasi che portano dal progetto alla messa in acqua di una barca.
Perché il nome Breva? Perché, come abbiamo visto, il cantiere nasce su solide radici, ma ha anche voglia di freschezza, proprio come quella portata del vento e in particolare il Breva, che spira sulle sponde del lago di Como a cui in cantiere si sono voluti ispirare. C’è stata una sorta di vento della passione – ci diceva Cinzia Grottoli in una intervista di qualche mese fa al nostro magazine - generato da persone che hanno capito la mia determinazione e che mi stanno seguendo”.





Scopri di più sul cantiere Breva Marine nella nostra intervista a Cinzia Grottoli
Primo risultato tangibile di questo mix fatto di passione, competenze e impegno è il Breva 800, il Rib che abbiamo provato a Cannes e che si colloca a metà della gamma.
Una carena davvero marina, questo va subito detto, e posso dirlo con certezza, perché al Salone di Cannes ho avuto modo di misurare la sua qualità con due motorizzazioni diverse, ossia due Yamaha da 200 cv e un Mercury da 300 cv. Motorizzazioni diverse, ma comportamento in acqua identico per questo scafo disegnato da Alessandro Chessa.

Il Breva 800 ha una carena che taglia bene l’onda, per quanto nel nostro test non era molto formata, e le sue linee permettono di mantenere la prua sempre asciutta.
Altra caratteristica molto positiva, è l’agilità con cui questo gommone reagisce alle correzioni del timoniere, senza innescare movimenti a pendolo nelle accostante molto repentine a dritta e a sinistra, segno di una buona stabilità in acqua.
Tutto questo nonostante una messa a punto non al 100% nel momento in cui abbiamo fatto la prova alla fiera di Cannes, dovuta alla posizione un po' bassa dei motori. Una regolazione che il cantiere ha già risolto al suo rientro in sede, ma tanta era la novità di questo gommone che non potevamo farci sfuggire la possibilità di provarlo e avere le prime impressioni anche se su un esemplare non del tutto definitivo (accade spesso, in particolare per i modelli totalmente nuovi, che la scadenza dell'accesso in fiera delle barche faccia sì che arrivino con le messe a punto non del tutto precise, perché magari sono entrate in acqua un paio di giorni prima), ma abbiamo comunque già in vista un secondo test con il gommone definitivo, di cui presto vi riporteremo.

L’ingresso in planata, pur con il trim a zero in entrambi i casi, differisce di un nodo e mezzo fra i due equipaggiamenti dei motori, con 13 nodi nel caso del singolo Mercury a 2700 giri/min., e 14,5 nodi allo stesso numero di giri con i due Yamaha.


Un confronto far le due motorizzazioni alla luce dei dati rilevati nelle condizioni in cui abbiamo realizzato il test (mare poco mosso, tre persone a bordo e 40% di carburante imbarcato), evidenzia differenze minime per quanto riguarda le prestazioni fino a 5000 giri, con la velocità che passa da 33,3 nodi con il monomotore a 35 con la doppia motorizzazione.

Quello che cambia notevolmente sono i consumi, che allo stesso numero di giri passano da 84 litri/ora per il singolo a 103 per la doppia, forbice che si amplia quando si raggiungono le rispettive velocità massime: con il fuoribordo singolo si hanno 35 nodi e 90 litri/ora, con il doppio motore si superano i 39 nodi ma si consumano 152 litri/ora.
Un quadro che, nel rapporto fra prestazioni e consumi, emergono note di colore a favore della motorizzazione singola. Se non fosse per quella riserva di potenza in più garantita dai due fuoribordo che in caso di manovre repentine o in condizioni meteo impegnative può risultare davvero utile.

È un dato oggettivo, che prescinde dai gusti estetici personali: il Breva 800 si connota per un livello eccellente sul piano dell'estetica, dei materiali e della qualità delle rifiniture, ma ancora prima, osservando le sue linee, è evidente la filosofia che sottende al progetto: questo battello ha tutte le caratteristiche tecniche di un gommone.
Questa è una cosa non scontata in un periodo in cui i tubolari assolvono, in alcuni casi, soltanto a una funzione estetica, quando invece i tubolari di un gommone non devono essere solo un “tubo gonfiabile”, ma un elemento idrodinamico fondamentale, che influenza galleggiamento, stabilità, comfort, planata e comportamento in mare formato.

Nel caso del Breva 800, i tubolari, le cui linee si alzano verso prua mantenendo il contatto con l’acqua a poppa, sono un elemento fondamentale delle sue caratteristiche marine.
Il design è molto funzionale. Lo si apprezza muovendosi a bordo di un piano di coperta concepito come un walkaround, in cui sono rispettati i canoni della sicurezza, ad esempio con la collocazione dei tientibene lungo la consolle.

Il tutto senza sacrificare l’eleganza, colta in massima parte dalla qualità dei materiali e dalle sue rifiniture, a partire dai tubolari in Hypalon, per andare sul piano di calpestio realizzato dalla Italdeck, che è in Eva acronimo di Etilene Vinil Acetato, ed è un materiale che offre un ottimo grip e una bella sensazione al contatto. I rivestimenti e le cuscinerie sono personalizzabili e realizzati con materiali di prim’ordine.


Per quanto riguarda l’organizzazione degli spazi, il Breva 800 nei suoi 8,57 metri è allestito in modo classico, con una dinette a C servita da un mobile cucina posizionato alle spalle della postazione di comando.

Quest'ultima si sviluppa su un blocco ampio e avvolgente che, oltre a offrire al driver una bella plancia panoramica, garantisce una buona volumetria e altezza nel vano sottostante, dove è stato ricavato il bagno con lavabo e Wc, ma, se lo si desidera, si può anche lasciarlo vuoto come vano di stivaggio.


La plancia, poi, è ben protetta e piuttosto ergonomica e permette una comoda conduzione da seduti, ma per una migliore visuale esterna è preferibile timonare in piedi.


La zona prodiera del piano di coperta è allestita con il classico prendisole, di fronte al quale è presente una seduta fronte marcia ricavata sul cassero, che copre l'accesso al vano interno.
Un'ultima - non meno importante - nota è sull'impiantistica, che può essere interamente ispezionata tramite un apposito pannello, in cui sono raggruppati in maniera ordinata tutti i controlli. È un altro particolare che denota la visione marinaresca di Breva Marine.




| Lunghezza f.t | 8,57 m |
| Larghezza | 2,99 m |
| Immersione a pieno carico | 0,40 m |
| Compartimenti | 6 |
| Diametro tubolari | 0,61 m |
| Dislocamento a secco | 1.500 kg |
| Serbatoio carburante | 450 l |
| Serbatoio acqua | 70 l |
| Potenza max motore | 400 cv |
| Potenza min. motore | 200 cv |
| Numero max passeggeri | 12 |
| Omologazione Ce | Cat. B |
| Architettura navale | Alessandro Chessa |

| giri/min | velocità | litri/ora | litri/miglio | Autonomia in miglia |
| 600 | 3,0 | 3,2 | 1,06 | 480 |
| 1000 | 4,4 | 5,4 | 1,2 | 366 |
| 1500 | 6,5 | 8,4 | 1,3 | 348 |
| 2000 | 8,2 | 13,9 | 1,7 | 265 |
| 2500 | 12 | 17 | 1,4 | 317 |
| 3000 | 15 | 23 | 1,5 | 295 |
| 3500 | 19,5 | 34,5 | 1,7 | 254 |
| 4000 | 25 | 45 | 1,8 | 250 |
| 4500 | 30 | 64 | 2,1 | 211 |
| 5000 | 33,3 | 84 | 2,5 | 178 |
| 5200 | 35 | 90 | 2,6 | 175 |
Ingresso in planata: 13 nodi a 2700 giri; Da zero a velocità massima: 14 secondi

| giri/min | velocità | litri/ora | litri/miglio | Autonomia in miglia |
| 600 | 3,3 | 3,3 | 1,0 | 450 |
| 1000 | 4,7 | 6,7 | 1,4 | 315 |
| 1500 | 6,6 | 11,3 | 1,7 | 263 |
| 2000 | 8 | 17,6 | 2,2 | 204 |
| 2500 | 10,3 | 23,5 | 2,3 | 197 |
| 3000 | 17,2 | 30,8 | 1,8 | 251 |
| 3500 | 23,7 | 44 | 1,9 | 242 |
| 4000 | 26,5 | 53 | 2,0 | 225 |
| 4500 | 30,5 | 72 | 2,3 | 190 |
| 5000 | 35 | 103 | 2,9 | 153 |
| 5200 | 39,2 | 152 | 3,8 | 116 |
Ingresso in planata: 14,5 nodi a 2700 giri; da zero a velocità massima: 12 secondi


Mare poco mosso, tre persone a bordo, 40% di carburante imbarcato
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Un rinnegato, un traditore, uno che con le sue scelte stava distruggendo le tradizioni cui era legata una azienda che aveva alle spalle 170 anni di storia. Il nome del presunto colpevole? Cataldo Aprea. La colpa? Essere un visionario e immaginare che una tradizione, come quella del gozzo sorrentino, potesse essere protetta e valorizzata anche attraverso profonde innovazioni, che oggi hanno portato alla creazione della nuova ammiraglia e alla nostra prova dell'Apreamare Gozzo 48 Cabin.
“Quando negli anni 90 dicevo che avrei costruito un gozzo capace di planare, mi davano del pazzo”, mi raccontava nel settembre del 2017, quando a Capri presentò Gozzo, un 30 piedi immaginato da Cataldo Aprea e disegnato da Brunello Acampora, che rappresentava un nuovo inizio per il cantiere di Sorrento.

Ci ha pensato la storia recente a far scendere il costruttore dal banco degli imputati per farlo salire su quello degli innovatori. Una storia scandita dai modelli successivi della linea Gozzo – 35, 38 e 45 - fino alla nuova creatura presentata a Cannes lo scorso settembre, il Gozzo 48 Cabin.
Abbiamo fatto il test della nuova imbarcazione del cantiere partenopeo in una giornata di vento fresco e un’onda corta e ripida, un po’ dura per un’uscita di piacere ma, viceversa, ideale per ricavare impressioni reali su come questo gozzo moderno si comporta in mare.
Diciamo subito che la prova dell'Apreamare Gozzo 48 Cabin ha messo in mostra le qualità della carena disegnata da Umberto Tagliavini. "V profonda a geometria variabile", recitano i comunicati stampa a proposito dell’opera viva di questa barca. Una definizione che, almeno nei documenti di divulgazione dei cantieri, ritroviamo spesso affibbiata a ogni tipo di carena, ma la realtà sta solo nei numeri.

Una carena a V profonda, secondo i sacri testi di ingegneria navale, è quella che a prua ha un deadrise, ossia l’angolo compreso fra il piano e l’alzata dello scafo, superiore a 20-25 gradi. Ebbene, l'Apreamare Gozzo 48 Cabin mostra una V profonda che, all’altezza della paratia anticollisione a prua, è di 60 gradi. A mezzanave, in funzione della geometria variabile, diventa di 21 gradi per attestarsi su un deadrise di poppa di 15 gradi.
Questi sono i valori che spiegano il comportamento in acqua del Gozzo 48 Cabin: un passaggio sull’onda senza impatti, con un’eccellente apertura dei flussi capace di mantenere sempre asciutta la prua e, soprattutto, di non far battere lo scafo nel cavo delle onde.
Ed è ancora la forma di questa carena che ci ha permesso di navigare contro vento e contro mare con un’ottima stabilità di rotta, che si è mantenuta molto buona anche quando abbiamo accostato mettendoci le onde di poppa, con un moto ondoso che normalmente aumenta la tendenza dello scafo a rollare e a “scodare”.
Nelle virate più strette, la barca ha accennato a una naturale e molto contenuta derapata riuscendo a mantenere, anche nel momento di maggior chiusura del raggio di accostata - circa tre lunghezze in assetto di planata – la velocità impostata all’inizio della manovra.

L’ingresso in planata è avvenuto a 16 nodi intorno a 2000 giri. A questi regimi il consumo orario è stato di circa 100 litri per ora in condizioni che replicavano quelle di una vera e propria crociera affollata: 10 persone a bordo, serbatoi d’acqua pieni e quelli del carburante al 42%. Un peso complessivo ben superiore al suo dislocamento.
Un ultimo dato, per i più golosi di cifre e numeri: barca ferma e manette a fondo corsa, la velocità massima di 30, 5 nodi è stata raggiunta in 29 secondi.
Una carena così concepita, che si è rivelata molto stabile con mare in prua e a poppa, come si comporterà con mare al traverso? Con questa domanda in testa abbiamo accostato ben consapevoli che, con l’onda a 90 gradi, è proprio questa la navigazione che si deve evitare quanto più possibile.

A basse velocità il rollio è ovviamente aumentato, riducendosi nettamente in planata quando, aumentando un po’ l’estensione dell’intruder di sopravento, la barca ha assunto e mantenuto un ottimo assetto laterale.
L’ambiente del quadrato è molto silenzioso a porte chiuse, mentre vibrazioni e scricchiolii sono del tutto assenti a qualsiasi velocità e assetto di navigazione.

Insieme all’architettura navale, protagonisti delle performance nella nostra prova dell'Apreamare Gozzo 48 Cabin sono i due Volvo Penta da 550 cv Ips700 che possono lasciare spazio anche a due motori identici ma più potenti, cioè da 625 cv Ips800 HP, oppure a una scelta più classica con due motori in linea d’asse sempre Volvo Penta da 600 cv.
La formula giornalistica più abusata vuole che quelle che caratterizzano l'Apreamare Gozzo 48 Cabin siano “innovazioni nel solco della tradizione”. Luoghi comuni a parte, lo sforzo che il designer Marco Casali ha prodotto per aderire quanto più possibile a uno stile classico, che abbia forti richiami con le linee del gozzo tradizionale, sono evidenti. Soprattutto in considerazione del fatto che le soluzioni stilistiche e i volumi interni dovevano trovare una loro coerente collocazione nello stesso spartito in cui erano state inserite le note dei volumi immersi e delle linee d’acqua di un gozzo costruito per correre.

Il risultato è un'imbarcazione che nella poppa tondeggiante, nel bordo libero maestoso e nell’impavesata alta impreziosita dal capo di banda in legno, richiama fortemente la tradizionale arte dei maestri d’ascia sorrentini.
La prua, naturalmente, perde gli slanci di un tempo, rispondendo a necessità idrodinamiche, ed è quindi verticale. Anche le rifiniture e i materiali utilizzati rappresentano un forte richiamo alle tradizioni artigianali di un tempo: legni, pelle e tessuti sono lavorati in modo ineccepibile.

Altri due elementi di continuità con la tradizione, sono definiti dallo spazio a disposizione in coperta e dalla fluidità degli spostamenti intorno alla sovrastruttura.
Il pozzetto è arredato con un divano a L e un prendisole, sotto cui è ricavata la cabina del marinaio. Al centro, oltre all’accesso alla sala macchine, è stato ricavato un tavolo che dal piano di calpestio, dove scompare, si solleva elettricamente per accogliere gli ospiti a pranzo e cena. Tutta l’area è protetta dall’hard top e da un tendalino amovibile che si arma velocemente su sostegni in carbonio.

L’area prodiera si raggiunge attraverso i due passavanti che riflettono una cultura del mare di antica provenienza: le impavesate sono alte e protettive, e lungo tutto il capo di banda corre un tientibene grazie al quale ci si sposta anche in navigazione, se necessario, con un buon livello di sicurezza. Poco da dire sulla zona di prua che è tutta dedicata al relax, grazie a un prendisole che occupa l'intera superficie.

Se fino a questo punto abbiamo sottolineato soprattutto ciò che sull'Apreamare Gozzo 48 Cabin ci riporta alle tradizioni, passando all’interno di questa barca si fa un salto nel futuro o, meglio, nel mondo del design moderno, dove eleganza e funzione vanno a braccetto.

Il ponte principale è occupato dal living, le cui caratteristiche di maggior rilievo sono la quantità di luce che lo innonda e la visuale verso l’esterno ottenute grazie alle alte finestrature che lo circondano.
Muoversi al suo interno significa dare un senso al concetto di design funzionale: eleganza e stile degli arredi in un contesto di forte ergonomia. E questo lo si ottiene se creatività ed esperienza di mare dialogano attraverso le voci di chi progetta e di chi in mare ha vissuto e per decenni ha costruito barche. Due nomi? In questo caso Marco Casali, il designer, e Cataldo Aprea, maestro d’ascia e patron di Apreamare.

Lasciata sulla sinistra la plancia di comando, si scendono pochi scalini per ritrovarsi al centro della zona notte, dove si è accolti da un ambiente in cui due paratie curve sembrano voler abbracciare l’ospite.
Al centro, sotto il grande triangolo di prua, è stata collocata la cabina armatoriale, immersa nei volumi a sua disposizione, in cui trova posto il bagno con box doccia separato.

Sulla sinistra c’è il secondo bagno e sotto il living c’è lo spazio per due cabine ospiti. Ambienti in cui l’armonia è la nota dominante.


Come abbiamo visto, il nuovo gozzo del cantiere napoletano è disponibile con tre motorizzazioni diverse, con la novità, fra l'altro, di comprendere anche le installazioni con i pod Ips di Volvo Penta.
Da qui deriva un listino con tre prezzi diversi, a seconda della propulsione che si preferisce, che comunque è tutta marchiata Volvo Penta.
I prezzi dell'Apreamare Gozzo 48 Cabin, franco cantiere e Iva e trasporti esclusi, partono quindi da 960.000 euro con 2x600 cv in linea d'asse, 1.010.000 euro con gli Ips700 e 1.060.000 euro con gli Ips800.
Leggi anche: Apreamare Gozzo 38 Cabin, l'undici metri per tutte le stagioni
| Lunghezza f.t. | 14,70 m |
| Lunghezza al galleggiamento | 12,55 m |
| Larghezza | 4,70 m |
| Immersione alle eliche | 1,40 m |
| Dislocamento a vuoto | 14.000 kg |
| Dislocamento a pieno carico | 18.000 kg |
| Serbatoio carburante | 1.600 l |
| Serbatoio acqua | 400 l |
| Persone imbarcabili | 16 |
| Omologazione Ce | Cat. B |
| Architettura navale | Umberto Tagliavini |
| Designer | Marco Casali |
| Concept | Cataldo Aprea |

| Regime (giri/min.) | Velocità (nodi) | Consumo l/h | Consumo l/miglio | Autonomia (miglia) |
| 600 | 4,6 | 6 | 1,3 | 1.226 |
| 1.000 | 7,4 | 15 | 2,0 | 789 |
| 1.500 | 10,6 | 51 | 4,8 | 332 |
| 2.000 | 15,9 | 99 | 6,2 | 257 |
| 2.500 | 24 | 146 | 6,0 | 263 |
| 2.950 | 30,5 | 222 | 7,3 | 220 |
| Con due Volvo Penta da 600 cv in linea d'asse | da 960.000 euro + Iva |
| Con due Volvo Penta Ips700 | da 1.010.000 euro + Iva |
| Con due Volvo Penta Ips800 | da 1.060.000 euro + Iva |
Prezzi franco cantiere con dotazioni standard

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Sicurezza, risparmio di carburante, efficienza, comfort. In due parole: assetto corretto. Lo strumento principe che abbiamo a bordo per ottenere il miglior posizionamento dello scafo sull’acqua, è il trim del motore.
Con questo termine si individua il meccanismo, normalmente un pistone elettroidraulico, che permette di modificare l’angolo fra il gambo del motore e lo specchio di poppa e, di conseguenza, di modificare l'assetto longitudinale, ovvero l'inclinazione tra prua e poppa, per adattare il comportamento dell'imbarcazione alle condizioni di navigazione.

Le immediate conseguenze di queste regolazioni si possono riassumere in quattro punti:

In plancia, a seconda del tipo di imbarcazione, il comando del trim è molto spesso un pulsante collocato sulla manetta del motore o, in altre configurazioni, l’interruttore si trova sulla plancia stessa in corrispondenza dello strumento che indica i gradi di regolazione in positivo o in negativo del trim.
In ogni caso, il pulsante permette di alzare il gambo del motore, premendo UP o di abbassarlo, agendo su DN (down).


Con il pulsante UP, il trim agisce positivamente portando l’elica in alto verso la superficie dell’acqua e aumentando l’angolo compreso fra lo specchio di poppa e l’asse del gambo del motore; premendo il tasto DN il trim va in negativo portando l’elica verso il basso e riducendo l’angolo fra il gambo del motore e lo specchio di poppa.
Con l’elica orientata verso l’alto (UP), il fuoribordo esercita una spinta verso il basso, facendo di conseguenza alzare la prua della barca, riducendo la parte bagnata della carena e quindi la resistenza sull’acqua.

Se il trim viene portato in posizione negativa (DN), l’elica si orienta verso il basso, esercitando una spinta verso l’alto della poppa e quindi verso il basso della prua, aumentando la parte bagnata dello scafo con un conseguente aumento della resistenza all’avanzamento e dei consumi e una riduzione della velocità.
Ne consegue che per andare veloci e bene si debba tenere sempre il trim in positivo? Assolutamente no. Un buon assetto della barca lo si raggiunge con un uso ragionato del trim – oltre che con una corretta disposizione dei pesi – a seconda delle condizioni di navigazione. Vediamo.
Premesso che sono le condizioni meteo marine e la nostra esperienza gli elementi che orientano verso un corretto utilizzo del trim, possiamo schematizzare alcune regole generali.
Partenza e Accelerazione: durante la partenza, è consigliabile abbassare il trim per mantenere la prua bassa. Questo permette all'imbarcazione di planare più rapidamente.
Una volta raggiunta la planata, il trim può essere alzato gradualmente per ridurre la resistenza e migliorare la velocità.

Guarda nel nostro video le reazioni della barca in base alle regolazioni del trim
La distribuzione dei pesi a bordo interagisce con la regolazione del trim. Spostare dei pesi a prua significa contribuire a tenere la prua bassa e quindi a entrare prima in planata, ma anche ad aumentare la resistenza all’avanzamento.
Tenere troppo appoppata la barca con i pesi tutti arretrati significa ritardare la planata e aumentare la superficie prodiera dello scafo esposta al vento e all’impatto con le onde. Di conseguenza è importante monitorare il comportamento della barca per raggiungere un assetto ottimale con la prua leggermente sollevata senza che la stabilità sia compromessa.

Le condizioni del mare sono un altro elemento quanto mai determinante ai fini della regolazione: in presenza di onde alte, è preferibile mantenere un trim più basso per aumentare la penetrazione dell'imbarcazione nell'acqua e garantire maggiore controllo.
In acque calme, si può utilizzare un trim più alto per ridurre la superficie bagnata e migliorare l'efficienza. Durante le virate, infine, è consigliabile abbassare leggermente il trim per migliorare l'aderenza dello scafo sull'acqua e aumentare la stabilità.

Viste le regole generali, possiamo cercare di cogliere qualche segnale e adottare dei trucchi che ci aiutino a regolare al meglio il trim.
Un segnale d’allarme cui dobbiamo prestare attenzione è la durezza del timone. Se è eccessiva, abbiamo probabilmente il trim troppo negativo e quindi l’elica troppo immersa. Un timone duro in fase di ingresso in planata può essere giustificato, ma una volta raggiunta la planata, se il problema rimane, occorre alzare un po’ il trim e alleggerire la prua.
Un altro segnale di buona o cattiva regolazione del nostro strumento è la scia, che con una regolazione corretta deve staccarsi dallo specchio di poppa.

Ne abbiamo già parlato ma è bene ribadirlo: la questione dei pesi è di fondamentale importanza. Ma se le persone a bordo possiamo spostarle, il peso del carburante incide nella posizione in cui sono collocati i serbatoi. Se abbiamo fatto il pieno e i serbatoi sono a poppa, avremo bisogno di più trim negativo per un ingresso in planata e magari di spostare qualche passeggero a prua.
Infine, se abbiamo il trim troppo alto, un altro segnale che indica questa anomalia è la tendenza dell’elica a cavitare e quindi a rallentare la barca.

E con mare mosso? In condizioni di mare duro, è generalmente consigliabile abbassare il trim per un ingresso in planata rapido. Sempre che questo sia possibile date le condizioni meteo e il tipo di carena della barca.
Una prua abbassata aiuta a ridurre il rischio di colpi violenti contro le onde durante l'accelerazione iniziale e la navigazione, a patto che si abbia a disposizione una V di prua profonda e in grado di aprire i flussi.

Una volta raggiunta la velocità di crociera, il trim deve essere regolato per ottenere un assetto bilanciato, con un trim, se possibile, leggermente negativo per consentire alla prua di penetrare meglio le onde, riducendo i sobbalzi.

Con onde lunghe e regolari, si può mantenere un assetto relativamente neutro o leggermente positivo per scivolare dolcemente sulle creste. Viceversa, con onde ripide e corte è essenziale abbassare il trim per mantenere la prua bassa e migliorare la penetrazione, evitando che l'imbarcazione venga sollevata eccessivamente e si esponga anche all’effetto del vento.
Come spesso accade quando si parla di navigazione, le regole generali sono soggette a molte variabili, che non sono dettate solo dalle condizioni del mare o della barca, ma anche dalla sensibilità acquisita dal driver.

Infatti, per raggiungere una buona capacità di regolazione dell’assetto e quindi del trim, quello che un buon marinaio deve fare è: provare! Uscire in mare e coltivare la curiosità di raggiungere il miglior assetto, dove velocità, consumi e comfort trovino il miglior equilibro, sfatando così il pregiudizio di chi crede che navigare a motore sia solo questione di mettere in moto e girare il volante.
Non solo in inverno, anzi, soprattutto in giornate di bel tempo e con temperature elevate, non è raro assistere a fenomeni atmosferici intensi che si sviluppano in brevissimi istanti: raffiche violente, pioggia, grandine e, soprattutto, fulmini. Sono i temporali.
Il meteo in barca è importantissimo da valutare non solo prima di salpare, ma anche in ogni fase della navigazione, perché le condizioni meteomarine possono prendere di sorpresa in qualsiasi momento.
Vediamo allora come si sviluppano, come sfuggire e anche come affrontare i temporali, nel caso in cui ci si trovasse improvvisamente dentro.

Il cuore del fenomeno temporalesco è rappresentato dalla formazione di un cumulonembo, ovvero una nube a sviluppo verticale, che prende vita grazie a una bolla d’aria calda e umida sollevatasi dal suolo. L’aria, riscaldata dall’insolazione, si espande e inizia a salire verso quote comprese tra 800 e 1500 metri.
In questo ambiente, dove la pressione atmosferica diminuisce, l’aria si raffredda rapidamente e il vapore acqueo in essa contenuto condensa, dando origine alla prima fase del temporale. In questa fase, le correnti ascensionali possono raggiungere velocità fino a 100 chilometri orari, portando la nube a svilupparsi in altezza fino alla tropopausa, che nelle nostre latitudini si situa intorno ai 12.000 metri, mentre in prossimità dell’equatore questo limite può estendersi fino a 20.000 metri.
Il risultato è un cumulonembo dalla base scura e profonda e dalla sommità normalmente caratterizzata da una forma a incudine, segno inconfondibile della sua maturazione.
Quando il processo di condensazione ha accumulato sufficiente energia, le particelle d’acqua, ormai troppo pesanti per sostenere la spinta ascensionale, innescano correnti discendenti che, insieme a raffiche di vento improvvise, portano precipitazioni intense e, in alcuni casi, grandine: è la fase "downburst".
La fase "downburst" è particolarmente pericolosa, poiché le raffiche a livello del suolo possono superare i 100 chilometri orari.
Esistono, tuttavia, diverse tipologie di temporali da affrontare in mare e sono favoriti da diverse condizioni atmosferiche. Vediamoli.
I temporali di calore, o termoconvettivi, si verificano quando una massa d’aria fortemente riscaldata dal suolo si solleva, tipicamente in giornate estive, raffreddandosi e condensandosi.
In alternativa, i temporali orografici si formano in prossimità di rilievi come colline e montagne: gli ostacoli naturali agiscono da trampolino, costringendo l’aria calda a innalzarsi, raffreddarsi e condensarsi rapidamente, con uno sviluppo spesso più repentino e difficile da prevedere.

Un’altra categoria è rappresentata dai temporali frontali, che nascono all’interfaccia di una massa d’aria calda e di una fredda; in queste situazioni l’aria fredda si insinua sotto quella calda, sollevandola violentemente e dando vita a un fronte freddo temporalesco, più esteso nelle sue dimensioni e più prolungato nel tempo rispetto ai tipici temporali estivi.
In navigazione, l’osservazione attenta dell’ambiente è fondamentale per riconoscere i segni dell’avvicinarsi di un temporale.
In prossimità della costa o in zone interne, l’addensamento progressivo delle nubi è uno dei primi indicatori: nubi che si fanno sempre più scure e si sviluppano in altezza suggeriscono che il cumulonembo sta prendendo forma.

Un altro segnale distintivo è il cambiamento nella direzione del vento: nella fase di formazione, l’aria tende a convergere verso il centro della perturbazione, generando venti che si dirigono verso il groppo. Le correnti ascensionali ora si equilibrano con quelle discendenti generando qualche istante di calma totale che, contrariamente a quanto possa sembrare, non porta a nulla di buono, perché è questo il momento in cui dobbiamo aspettarci l’imminente arrivo dei fenomeni più violenti.
Infatti, nei minuti immediatamente precedenti l’arrivo del temporale, proprio per l'effetto di bilanciamento della forza ascensionale con quella discendente, l'attività temporalesca di fatto si sospende temporaneamente.
Questo “stallo” è un campanello d’allarme importante: significa che la nube sta per scaricare tutta la sua energia in forma di pioggia, grandine e raffiche violente.

I venti forti tendono a sfilacciare la parta alta delle nubi, quindi se il fenomeno vi coglie a debita distanza, cercate di osservare la sommità del cumulonembo, perché rivela la direzione di spostamento del groppo, fornendo un'informazione importante al comandante su dove sta dirigendo l’impatto più violento dei fenomeni. Lo sfilacciamento, infatti, segue la direzione del vento, quindi indica la rotta del temporale.
In mare, la tempestività nelle azioni di emergenza può fare la differenza tra un’esperienza gestibile e una situazione pericolosa. Appena si avvertono i primi segni di un temporale, è fondamentale mettere in atto una serie di misure per proteggere l’imbarcazione e l’equipaggio.

Prima di tutto, è opportuno chiudere oblò, osteriggi, passa uomo e prese a mare. In coperta tutto deve essere ben fissato e gli oggetti amovibili come cuscini, asciugamani, occhiali e quant’altro che possa volare via, deve essere portato sottocoperta, perché oltre al rischio di perderli possono diventare proiettili pericolosi durante le raffiche.
Infine, ma non per ultimo, sulle barche a vela che portano il tender al traino, devono issarlo in coperta e assicurarlo bene con la chiglia orientata verso l’alto; il motore fuoribordo, se si è in navigazione è auspicabile che sia già stato fossato sul proprio alloggiamento.
Sulle imbarcazioni a vela, è bene ridurre al minimo la tela esposta, rollando il fiocco e mantenendo la randa terzaruolata al massimo, in modo da minimizzare l’esposizione al vento. Se però l’equipaggio non è in grado di collaborare al governo dell’imbarcazione, in situazioni di estrema turbolenza, può essere preferibile affidarsi al motore ammainando le vele. Non è ortodosso, ma alle brutte un fazzolettino di fiocco si può tirare fuori anche all’ultimo momento.
L’obiettivo, in ogni caso, è quello di allontanarsi dalla costa e quindi dal punto dove si è formato il temporale. In questo modo, avremo i fenomeni più violenti in poppa, attenuandone l’effetto sulla barca. Un’imbarcazione a motore ha molte più possibilità di allontanarsi velocemente dal groppo e quindi di evitarne le conseguenze.
Se si viene sorpresi, sia a bordo di una barca a vela sia su una a motore, bisogna evitare di tentare un avvicinamento a terra e un ingresso in porto mentre i fenomeni più duri sono in corso.
Manovrare in acque ristrette con raffiche a 40-50 nodi è impossibile o molto difficile anche con motorizzazioni potenti. Inoltre, le forti precipitazioni possono ridurre quasi a zero la visibilità: a maggior ragione non si deve tentare un atterraggio, ma ci si deve allontanare o mantenere la posizione, se il motore è sufficientemente potente, con venti e mare al mascone in attesa che le condizioni migliorino.
Quando la visibilità viene ridotta da pioggia intensa o grandine, è indispensabile attivare i dispositivi sonori per segnalare la posizione dell’imbarcazione e allertare eventuali imbarcazioni vicine.
Molto dipende dal grado di preparazione delle persone a bordo. In ogni caso, chi non è necessario alle manovre, è più sicuro che vada sottocoperta. Chi rimane in pozzetto, nel caso di una imbarcazione a vela, deve indossare il giubbino salvagente e l’imbracatura per assicurarsi alla jack-line o a qualche parte strutturale della barca. Il rischio maggiore in queste condizioni è quello di finire fuori bordo.
Tra i vari fenomeni legati ai temporali, i fulmini rappresentano il pericolo maggiore. Sono il risultato di una differenza di potenziale tra le particelle cariche negativamente all’interno della nube e quelle positive presenti a terra.
La scarica elettrica, che può raggiungere intensità tra 10 e 200 kiloampere, è in grado di causare danni estremamente gravi a un’imbarcazione, con il rischio di incendi e il danneggiamento irreparabile di strumenti e impianti elettronici.
Le barche costruite in metallo possono, in qualche misura, dissipare l’energia del fulmine nel mare, riducendo i danni. Al contrario, imbarcazioni in legno o vetroresina non godono di questa protezione naturale, e sono quindi più vulnerabili.

È fondamentale tenere presente che elementi sporgenti come antenne e strutture metalliche (per esempio le parti degli alberi delle barche a vela) sono i punti d’ingresso privilegiati per le scariche elettriche.
A bordo durante i temporali è consigliabile non utilizzare dispositivi elettronici portatili, come il cellulare, e intervenire su connettori e cavi solo se il pericolo è lontano, per non esporsi a scariche improvvise.
Sulle barche a vela, la norma europea ISO 10134 prevede che, durante la costruzione, si integri un sistema di messa a terra che colleghi l’albero alla lama di deriva tramite un cavo robusto; dove ciò non è possibile, si adottano elettrodi posti sotto lo scafo e dispositivi parafulmine in rame, capaci di canalizzare e dissipare l’energia elettrica.
Per quanto riguarda le persone imbarcate, l’insieme di albero, stralli e sartie , sempre sulle barche a vela, crea una gabbia di Faraday che offre un’ottima protezione per l’equipaggio, ma solo se si evitano contatti con elementi metallici.
1. Il riconoscimento precoce dei segnali atmosferici e l’adozione tempestiva di misure preventive sono la chiave per gestire in sicurezza un temporale in navigazione.
2. Conoscere la dinamica dei fenomeni – dalla formazione dei cumulonembi, passando per l’insorgenza di correnti ascensionali e discendenti, fino al manifestarsi dei fulmini – permette di attuare strategie di difesa efficaci, minimizzando il rischio sia per l’equipaggio sia per l’imbarcazione.
3. La scelta di allontanarsi dalla costa, dove, soprattutto in estate, si generano con maggiore facilità i temporali, è la base della strategia vincente per evitare i fenomeni temporaleschi, che negli anni sono diventati sempre più violenti e imprevedibili.
C’è chi, molto determinato, decide di impegnarsi in un percorso di formazione per diventare comandante, e quindi per conseguire la patente nautica, e chi invece preferisce un avvicinamento più graduale senza rinunciare, sin da subito, a uscire in mare. In questo caso, la domanda principe è: posso guidare una barca senza patente nautica?
Il termine guidare non è proprio marinaresco ma bene si associa all’idea di patente. In realtà, lo abbiamo visto nel pezzo sulla patente nautica (clicca qui), necessaria quando si naviga oltre le sei miglia dalla costa e che si ottiene sostenendo l’esame; di fatto è una abilitazione al comando di un natante o una imbarcazione e non semplicemente una patente di guida.

Detto questo, rispondiamo alla domanda contenuta nel titolo: sì, senza patente si possono condurre barche rimanendo però entro le sei miglia dalla costa. Ma quali barche posso guidare senza patente nautica e a quali condizioni?
Qui le cose si fanno un po’ più complesse. Innanzitutto, diciamo che, se a bordo dell’imbarcazione è presente un comandante, ossia una persona in possesso di patente nautica, chi ne è sprovvisto si può mettere al timone e condurre qualsiasi imbarcazione per la quale è abilitato il possessore dalla patente nautica.
Se invece a bordo nessuno è provvisto di patente, allora subentrano dei limiti dettati dalle dimensioni della barca e dalla potenza del motore. Vediamo i dettagli.


750 cc per motori a due tempi a carburazione o iniezione - 1.000 cc per motori a quattro tempi fuoribordo o a iniezione diretta - 1.300 cc per motori a quattro tempi entrobordo - 2.000 cc per motori diesel.
Schematizzando possiamo dire che si possono guidare barche a vela, motore e remi se: ci si mantiene entro le sei miglia dalla costa; la barca rientra nella categoria dei natanti, ovvero non sia più lunga di 10 metri, se il motore ha una potenza non superiore ai 40 cv.

A ben guardare, la legge prevede una differenza fra mare e lago in merito alla lunghezza della barca per poterla guidare senza patente nautica, che però nella realtà trova scarsa applicazione.
In acque interne, infatti, non c'è limite di lunghezza della barca per chi è sprovvisto di patente nautica, ma valgono gli stessi limiti per la potenza dei motori.
Ne consegue che una persona non patentata è autorizzata a pilotare su un lago uno yacht di 12, 15 o anche 20 metri, ma all'atto pratico è impossibile trovare una barca da diporto di tale grandezza motorizzata con soli 40 cavalli, a meno che non sia con carena dislocante.

Questo tipo di carene, infatti, usano motori molto meno potenti in relazione alla loro lunghezza rispetto a una barca con carena planate, perché una volta raggiunto il loro limite di velocità - in genere 10-12 nodi di massima - non potrà mai andare oltre, anche se si raddoppiasse o triplicasse la spinta dei motori rispetto alla potenza prevista dal progetto.
Idealmente, quindi, è possibile trovare yacht più grandi con poco motore, ma rimane il fatto che 40 cv sono davvero pochi per barche superiori a 8-10 metri.
Diciamo innanzitutto che la patente nautica è un’abilitazione e non una licenza per la guida. In altre parole, quella che ci viene rilasciata per l’auto o la moto, è una patente che ci autorizza a guidare in prima persona il veicolo per la cui conduzione abbiamo preso la patente. In nessun caso potremmo mettere alla guida qualcuno sprovvisto di patente (foglio rosa a parte) con noi a bordo che ne dirigiamo le azioni, cosa che invece è possibile con l’abilitazione a condurre una barca.
La patente nautica, infatti, abilita al comando e alla conduzione di un’imbarcazione o natante da diporto, ma non obbliga il titolare a stare in prima persona per ore e giorni al timone, dove invece ci può stare chiunque, anche senza patente, purché abbia compiuto 16 anni di età e sia sotto il controllo del Comandante a bordo. È quest’ultimo, infatti, l’unico responsabile da tutti i punti di vista della “spedizione”, per usare il termine del Codice della navigazione, con l’obbligo e la responsabilità di coordinare e dirigere le operazioni prima e durante la navigazione.

Si può conseguire la patente nautica di categoria A dal compimento dei 18 anni in avanti, ma è stata varata una nuova legge che istituisce la patente di categoria D1, il cosiddetto patentino, che può essere conseguito già a 16 anni, ma con dei limiti, fra cui la potenza massima del motore di 115 cv.
Detto questo, torniamo al quesito principale: quando serve avere la patente nautica? La risposta è semplice: la patente nautica di categoria A, che abilita al comando di natanti e imbarcazioni da diporto, è obbligatoria per navigazioni oltre le 6 miglia dalla costa.
La patente nautica A può essere di due tipi: entro le 12 miglia oppure oltre le 12 miglia, anche detta senza alcun limite dalla costa, e può essere conseguita per l’abilitazione al comando di natanti e imbarcazioni fino a 24 metri solo a motore oppure sia a vela sia a motore, con due tipologie diverse d’esame.

Indipendentemente da qualsiasi limite previsto dalla legge, la patente nautica è necessaria per la pratica dello sci nautico.
Abbiamo detto che la patente nautica di categoria A serve quando la navigazione è condotta oltre le 6 miglia dalla costa. Questo vuol dire quindi che entro tale distanza si può condurre qualsiasi mezzo senza patente? Assolutamente no.

A tracciare il limite di obbligo della patente nautica è la potenza del motore: quando questa è superiore a 40,8 cv, occorre la patente di categoria A anche entro le 6 miglia o nelle acque interne. Vale sempre la possibilità di scelta fra l’abilitazione entro o oltre le 12 miglia e solo per barche a motore o sia vela sia motore.
Oltre alla potenza, il codice della nautica fissa anche diversi limiti della cilindrata, che determinano l’obbligo della patente nautica e sono i seguenti:
Nel descrivere i diversi tipi di patente abbiamo parlato di natanti e imbarcazioni. È una distinzione che apre due mondi diversi dal punto di vista amministrativo e delle dotazioni di sicurezza da avere obbligatoriamente a bordo, che sono più contenute per i natanti.


La distinzione è data dalla lunghezza di omologazione (e non fuoritutto) della barca: per natante si intende una barca entro i 10 metri. Da 10 fino a 24 metri si parla di imbarcazioni da diporto. Oltre i 24 metri si entra nella sfera delle navi da diporto (meglio conosciute come superyacht), per le quali sono richiesti titoli professionali specifici, che possono essere conseguiti non prima di tre anni di “anzianità” della patente per le imbarcazioni da diporto.

La differenza fra lunghezza di omologazione e lunghezza fuoritutto è che la prima si riferisce allo scafo senza alcuna appendice (tipo la spiaggetta poppiera o il pulpito di prua), la seconda tiene invece conto della lunghezza massima della barca, misurata fra le due estremità più sporgenti, comprendendo quindi tutti gli eventuali elementi aggiuntivi allo scafo. Succede così che una barca di 12 metri fuoritutto può essere configurata come natante se ha lo scafo di 9,99 metri e, alla stessa stregua, uno yacht di 27 metri fuoritutto può rientrare nella categoria delle imbarcazioni ed essere condotta con la normale patente nautica di categoria A, se il suo scafo è lungo al massimo 23,99 metri.
Anche per la conduzione delle moto d’acqua è obbligatoria la patente di categoria A.
Si tratta di mezzi che navigano normalmente in acque interne o entro le 6 miglia dalla costa, ma con motori di potenza ben oltre i 40,8 cv. Tuttavia il patentino D1 istituto con il decreto dell’ottobre 2024, modifica in qualche modo i limiti che riguardano la conduzione delle moto d’acqua, in quanto estende il limite della potenza del motore fino a 115 cv.

Quando si parla di patente nautica per il diporto, normalmente si intende quella di categoria A a vela o vela e motore entro e oltre le 12 miglia. Nell’ambito del diporto ne esisto di altre categorie:
