Lo Yacht Designer Sergio Abrami racconta la storia dei gommoni, forse la tipologia di barca a motore più diffusa lungo le nostre coste. Una storia che viene da lontano ed è certamente poco conosciuta da molti utilizzatori del pratico, leggero e utile natante.

Noi italiani li chiamiamo “gommoni”, i francesi “canot pneumatique”, gli inglesi “rubber dinghy” o molto più comunemente “inflatable boat”. L’ultima generazione, quella a carena rigida, è denominata a livello internazionale con una pratica e concisa abbreviazione RHIB (Rigid Hull Inflatable Boat) o ancora più brevemente RIB. Ed è da questa terminologia che partiamo con la nostra breve ma antica storia del “gommone”, l’inflatable boat.

Gommoni, dalla pelle al tessuto impregnato di gomma

Da sempre, per attraversare corsi d’acqua in sicurezza più che per “navigare”, i popoli di tutto il mondo hanno usato pelli di animali gonfiate con aria. Al Museo nazionale marittimo di Shangai c’è una sala dedicata ai mezzi preistorici, con riproduzioni di tali semplici e leggere soluzioni. Da modelli a un posto a zattere con calpestio in bamboo e galleggiabilità garantita da una serie di pelli di pecora gonfiate.

Sono la leggerezza e praticità di stivaggio gli argomenti a favore dell’inflatable boat che hanno interessato fin dalla notte dei tempi il “comparto militare”. Infatti militare era il Tenente della Royal Navy Peter Halkett che però, come spesso succede a tutte le persone “troppo avanti”, non fu particolarmente fortunato. L’imbarcazione “Halkett” era il precursore del gommone leggero ed è stato appunto progettato dal Tenente inglese nel 1840. Halkett era stato a lungo interessato alle difficoltà di viaggiare nell’Artico canadese, in particolare ai problemi legati alla progettazione di imbarcazioni abbastanza leggere da essere trasportate su terreni difficili, ma abbastanza robuste da essere utilizzate in condizioni climatiche estreme. Il primo progetto di Halkett era una barca pieghevole e gonfiabile in tessuto impregnato di gomma. Quando sgonfio, lo scafo poteva essere indossato come un mantello, il remo usato come bastone da passeggio e la vela come un ombrello. A questo progetto ha fatto seguito un battello per due persone che era abbastanza piccolo da inserirsi in uno zaino e, quando sgonfiato, serviva da coperta impermeabile.

Benché largamente elogiati dagli esploratori canadesi, i progetti di Halkett avevano un mercato limitato e il Tenente non fu in grado di persuadere la Royal Navy che sarebbero serviti nel servizio navale generale. Gli sforzi per commercializzarli come piattaforme per la pesca e la caccia all’anatra fallirono e furono commercialmente infruttuosi. Solo due barche Halkett sopravvivono oggi: quella dell’esploratore di Orcadi John Rae e una che si trova nella collezione del Museo della Compagnia della Baia di Hudson presso il Museo Manitoba. L’Ammiragliato Britannico era decisamente scettico riguardo ai potenziali usi dei progetti di Halkett, anche se nel 1839 il Duca di Wellington (il vincitore di Waterloo, Comandante militare angloirlandese e politico britannico) testò i primi pontoni gonfiabili utilizzati per creare ponti provvisori.

Gommoni perché fatti di gomma

La svolta tecnologica fu la vulcanizzazione della gomma naturale. Due nomi da tenere a mente perché a loro si deve in pratica lo sviluppo e il progresso dei gommoni sono Charles Goodyear e Thomas Hancock. Nel 1843, Charles Goodyear scoprì che se si rimuoveva lo zolfo dalla gomma naturale e poi la si riscaldava, questa avrebbe mantenuto la sua elasticità. Questo processo chiamato vulcanizzazione (in onore del dio Vulcano) in un modo o nell’altro compare sempre nella storia delle invenzioni, perché ha reso la gomma impermeabile e resistente alle basse temperature e ha aperto le porte a un enorme mercato per gli articoli di gomma, non solo pneumatici, ma anche tessuti spalmati e, di conseguenza, ai gommoni.

Il 24 giugno 1844, Charles Goodyear ottenne il brevetto n. 3.633 per la gomma vulcanizzata. Ma già nel 1840, lo scienziato inglese Thomas Hancock progettò imbarcazioni gonfiabili usando i suoi nuovi metodi di vulcanizzazione della gomma e descrisse i suoi risultati in “The Origin and Progress of India Rubber Manufacture in England”, saggio pubblicato pochi anni dopo. Ma deve passare oltre mezzo secolo per trovarne delle applicazioni, questa volta in campo aereonautico, nei dirigibili.

Ecco affacciarsi il nome di Reginal Forest Dagnall in seguito costruttore di palloni aereostatici, dirigibili, palloni frenati, ma soprattutto zattere di salvataggio e gommoni. Reginald Foster Dagnall usò le sue iniziali, RFD, per denominare un’azienda che fondò nel 1920 e, nel 1932, RFD inventò la prima zattera di salvataggio gonfiabile e da allora è leader nel campo della sicurezza marittima e aerospaziale e delle attrezzature di sopravvivenza.

Ma anche Zodiac in Francia, rivale dei Zeppelin e dei RFD nel campo dei dirigibili, ha dominato l’esplorazione di aria e acqua con un approccio davvero innovativo sin dalla sua creazione nel 1896. Zodiac trova le sue origini nella “Compagnia di aeromobili Zodiac e aviazione francese”, specializzata nella produzione di dirigibili. Negli anni Trenta, Pierre Debroutelle, uno dei suoi ingegneri, inventò uno dei primi prototipi di barche gonfiabili per l’Aeronavale che era alla ricerca di soluzioni innovative e facili per il trasporto militare. Ed ecco il Cat pneumatico Zodiac del 1934 per usi bellici.

Gommoni, gli anni Cinquanta

Bisognerà aspettare gli anni Cinquanta dello scorso secolo per parlare di diffusione dei gommoni. Era il 1955, quando in Italia fu varato il Laros il primo “battello pneumatico”, cioè il primo gommone Pirelli. Ma ad onor del vero spetta alla Francia il merito di aver fatto parlare di gommoni, favorendone la conoscenza del mezzo e la diffusione nel mondo, in particolare allo Zodiac L’Hérétique tramite l’impresa di Alain Bombard. Il medico parigino salì agli onori della cronaca partendo il 19 ottobre 1952 alla volta delle Indie Occidentali. Il suo Zodiac era lungo solo 4,5 metri e con sé aveva solo un sestante e poche provviste: si nutrì di plancton facendo quindi ricerca sulla sopravvivenza in mare.

Chiglia rigida o pneumatica?

I primi gommoni a larga diffusione, parliamo degli anni Sessanta e primi anni Settanta, si dividevano in due distinte categorie: chiglia in legno scomponibile e chiglia pneumatica. L’efficienza, ma anche il maggior peso della prima sono fuori discussione. In entrambe le soluzioni il tutto era smontabile.  Imbarcazioni trasportabili quindi in una o più sacche da riporre nel bagagliaio o sul tetto della vettura. Vetture, ricordo ai più giovani, che erano incredibilmente più strette delle vetture attuali: la Fiat 600, l’utilitaria che motorizzò l’Italia, era larga 1,38 m. Ma già in quegli anni, quando possibile, qualcuno portava il gommone già gonfiato sul tetto. Piccole dimensioni di battelli, ridotte larghezze che permettevano di far rientrare gli ingombri nelle misure “a codice”.

Il passaggio alla carena rigida, circa negli anni Ottanta, fu inevitabile: maggior tenuta di mare, più comfort, meno preoccupazioni e maggiori dimensioni del trasportabile sul tetto o nelle sagome corrette su carrello. Una volta sgonfiati i tubolari l’ingombro era costituito dalla sola scocca rigida di vetroresina. In Italia l’inventore dei rib a metà degli anni Settanta fu il geniale Franco Donno che in seguito ha disegnato carene per la quasi totalità dei produttori italiani. I primi gommoni Novurania devono alla sua matita la carena e diverse furbe soluzioni. In questa azienda, storia che conosco di persona avendoci lavorato negli anni Ottanta, dopo Donno arrivò Roberto Starkel, ingegnere navale e progettista di barche a vela famose.

Nel frattempo i tubolari non hanno più funzione di galleggiamento, ma sono diventati le sedute e spesso, anche da fermi, non toccano l’acqua. I tubolari, da sezione perfettamente circolare con diametri dai 450 ai 650 mm, diventano poi semicircolari aumentando gli spazi interni. Con il passare degli anni sono aumentate le dimensioni dei gommoni, soprattutto la lunghezza fuori tutto, ma è anche cambiata la tipologia e l’utenza. Alle motorizzazioni fuoribordo si sono affiancate quelle entrofuoribordo, dalle consolle centrali, che magari nascondevano un locale wc, si è arrivati a veri e propri cabinati con un fender perimetrale. Forse però si è persa di vista la vera natura “utilitaria” del gommone.

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